Lo dico subito, così ci togliamo il pensiero: Larry McMurtry con questo libro ha giocato un altro campionato. Inutile stare a girarci intorno. Lonesome Dove è un capolavoro assoluto, un libro totalizzante, un viaggio quasi fisico (sicuramente extracorporeo), come pochi se ne leggono al giorno d’oggi.
L’ho terminato a gennaio, e già ti anticipo che è assai probabile che finisca dritto dritto in Top 3 alla fine di quest’anno.
Un avvertimento però è doveroso: sarà un libro considerato dai più inaccessibile. Ma andiamo con ordine.
Il giorno in cui ci siamo incontrati
Ma io come sono entrata in contatto con questo testo e perché ci ho messo tanto a scovarlo, seppur faccia parte dei Tascabili Einaudi e sia compagno di banco di altri titoli illustri e apprezzatissimi? Ancora: perché non ne avevo mai sentito parlare prima? E perché poco fa l’ho definito inaccessibile?
Perché sono quasi mille pagine. Ecco, l’ho detto, così ci siamo tolti il pensiero.
Lonesome Dove è un tomo di 976 pagine, di quelli che di primo acchito ti fanno vacillare un momento e fermare a riflettere se sia davvero il caso di accollarsi ‘sto mattone. Più che un libro, è un’arma, del tipo che se ti addormenti mentre lo leggi, ti fai male, sicuro al 100%.
Quindi meglio mettere subito le mani avanti e levare lo sporco da sotto il tappeto, senza nemmeno provare a nasconderlo: Lonesome Dove è un libro lungo, molto lungo, che ha bisogno di quella lunghezza e di quelle pagine per essere un capolavoro, e che proprio in virtù del suo essere un capolavoro non potrebbe essere più corto nemmeno di una riga.
Ma - dicevamo - il giorno in cui ci siamo incontrati, Larry ed io.
Come spesso accade ultimamente per le mie ispirazioni letterarie, l’ago della bilancia è stata la McMusa - Marta Ciccolari Micaldi - che durante la presentazione del suo primo libro, alla domanda “cosa ci consigli di leggere per capire meglio gli Stati Uniti?” risponde senza esitazione alcuna: Lonesome Dove, argomentando questa sua scelta con parole che mi sono rimaste molto impresse.
Ci dice infatti, che sebbene il libro sia molto lungo, scritto in un’altra epoca e che si rifà ad un contesto a noi sconosciuto e per certi versi anche difficile da comprendere, raramente ha incontrato qualcosa di più iconico e rappresentativo, specialmente di quella parte di America, il Texas.
Stanti queste premesse, potevo non comprarlo? Domanda retorica.
Me lo sono portato a casa senza colpo ferire, pensando tra me e me che la lettura di un libro del genere andasse necessariamente programmata, per non rischiare di bruciarlo nel mare magnum di sbattimenti quotidiani e non dargli così il tempo necessario per farsi apprezzare fino infondo.
Prima regola del fight club
Mai scelta fu migliore e decido quindi che Lonesome Dove sarà il libro che mi transizionerà dal 2023 al 2024, e lo inizio alla vigilia delle vacanze di Natale proprio con questo intento: traghettarmi dal vecchio al nuovo anno, trovando così il tempo e lo spazio mentale per entrare davvero in connessione con il romanzo.
Ed eccolo quindi il primo vero consiglio di questo numero della newsletter: Lonesome Dove è un libro che va programmato, che ha bisogno di ampio respiro. E’ un testo che va assaggiato a poco a poco, per poi essere divorato sempre più voracemente fino alla scorpacciata delle ultime battute finali. Devi avere la mente sgombra, perché il viaggio sarà totalizzante e la lettura esigerà da te la tua presenza fisica e mentale a ogni nuova tappa della storia.
Ok, adesso che la prima regola del fight club è stata proclamata, mettiamo in riga un paio di cosette.
Sinossi e contesto, alla vecchia maniera
Siamo nella seconda metà dell’800, in Texas, al confine con il Messico sulle sponde del Rio Grande.
Ancora non si parla di cambiamento climatico ma fa già un caldo del diavolo in quel di Lonesome Dove, piccolo agglomerato di casupole e capanne dove si trova la Hat Creek Cattle Company and Livery Emporium, la sgangherata e semi-fallimentare compagnia di bestiame di Gus McCrae e il capitano Woodrow Call.
Questi due esimi signori sono Texas Rangers off duty, incartapecoriti dal sole e apparentemente incastrati in una routine giornaliera lenta e sconclusionata.
Ora, so che alle parole ‘Texas Ranger’ c’è scappato un sorrisetto, ma trattieni il riso sulle labbra perché a quei tempi essere un Ranger nel sud degli Stati Uniti era una cosa seria: un fatto di sangue e guerra, nativi e messicani, ladri e coloni. In quell’epoca e a quelle latitudini, a un soffio dall’inizio di un nuovo secolo, i Texas Ranger rappresentano l’ordine e la giustizia, l’ago della bilancia della civiltà, custodi delle chiavi di un nuovo mondo.
C’è poi una grande quota parte di America in queste figure, considerate alla stregua dei conquistatori ma con una missione ben più nobile - dal loro punto di vista, profondamente razzista e coloniale - ovvero essere l’avamposto dell’umanità di fronte agli sconfinati spazi di frontiera che hanno fatto degli USA la Promised Land, ovvero terra di opportunità. Qui si innesta tutto il mito del vecchio West, dei cowboy, e dei nativi - descritti come barbari e primitivi, in realtà, oggi lo sappiamo, popolo in lotta, cacciato dalla propria terra e sterminato con crudeltà.
Quello che ci si apre dinnanzi è dunque un mondo sicuramente sconosciuto e spaventoso, pieno di pericoli e minacce, ma anche pronto per essere afferrato, alla mercé del più forte, del più furbo, del più longevo o del più tenace. A cavallo tra due secoli, un mito si sta costruendo sotto i nostri occhi di lettori.
Per conquistare e amministrare queste terre dimenticate da Dio però, non c’è spazio per i chiaroscuri, servono regole ferree ed elementi netti, contrapposti: i buoni e i cattivi, il giusto e sbagliato, la legge ed i fuorilegge. I nostri rangers sono tutto questo: uomini coraggiosi, reduci dalla guerra di Secessione, che con la loro fedele pistola nella fondina vanno dove ce n’è più bisogno, muovendosi in terre selvagge e in balia del caos, pronti a farsi portatori di legge e giustizia. Sono loro i soggetti designati a conquistare e proteggere quelle lande sconfinate.
E’ così che conosciamo Gus e Call, eroi della loro epoca, miti viventi, leggende che camminano, amati, rispettati e temuti dai più. Quando li incontriamo però s’intravede una crepa dietro a quel passato eroico: i nostri ranger hanno perso lo smalto così come il loro scopo nel mondo. Ormai infatti il loro lavoro è finito, la guerra con i Comanche è vinta, e persino il furto di cavalli da un lato all’altro del Rio Grande è talmente semplice da risultare noioso.
Un’immobilità bollente circonda Lonesome Dove, dove non si vedono e sentono più guai da parecchio tempo. Tutto se ne sta lì, impietosamente statico nella calura del sud, a sciogliersi letteralmente di sudore. Non ci sono pericoli, e nemmeno tante attrazioni (tranne una, Lorena, ma di lei non posso dirti altro).
E di conseguenza non ci sono nemmeno più obiettivi a riempire le giornate dei nostri ranger, che hanno così ripiegato senza troppa convinzione e con svogliata riluttanza sull’allevamento di cavalli e il commercio di bestiame.
E’ in questo quadro assolutamente statico che si inserisce il pretesto letterario che darà il via ad un viaggio epico.
Il Montana, paradiso in terra
Un amico, un vecchio commilitone - Jake Spoon, anche su di lui mi devo mordere la lingua - torna dopo anni di vagabondaggio e peripezie a Lonesome Dove e racconta di pascoli verdi, terre vergini e rigogliose, dove in inverno la neve e le piogge cadono in abbondanza e in estate il sole scalda ma non brucia.
Il posto perfetto dove fare, questa volta per davvero, gli allevatori di bestiame, una valle dell’Eden on earth, nuova terra promessa da inseguire, caratterizzata da erba fresca e ruscelli gorgoglianti: il Montana.
Ora, fermiamoci un secondo e facciamo un veloce ripassino per immagini della geografia americana. Qui sotto trovi una foto che mostra lo stato del Texas, nell’estremo sud, e quello del Montana, a nord.
Come questa immagina ci suggerisce dunque, è subito chiaro che più che un viaggio si tratterà di un’impresa epica: quasi 2000 miglia, oltre 3200 km, a cavallo.
Un ritorno alle origini quindi, ai pericoli e all’avventura, elementi che caratterizzano non solo la vita del capitano Call, tanto saggio quanto solitario, e del suo compare, l’arguto e insolente Gus, ma che sono comuni alla figura del cowboy per eccellenza, l’emblematico uomo a cavallo, incontrastato protagonista del mito americano.
Alea iacta est, dunque, il dado è tratto: fatti i bagagli e salutati gli amici, i nostri partono con circa 3000 capi di bestiame alla volta di questo paradiso in terra.
Le voci di Lonesome Dove
Un’epica avventura però esige, come nella migliore tradizione, anche una pletora di personaggi straordinari.
Da Deets, il migliore a seguire le tracce e unica persona nera della storia, la cui profondità tocca forse le corde più sensibili del romanzo, a Pea Eye, che rappresenta lo scemo del villaggio per antonomasia, senza scopo si ma anche senza paura, passando per Newt, il giovane orfano timoroso e timorato, e ancora Jake Spoon, bevitore e puttaniere, Po Campo e Bolivar, i cuochi messicani che si susseguono lungo la via, fino a Clara, Lorena, July Johnson, Roscoe Brown, Elmira e tanti - tanti - altri.
Ti faccio una promessa: saranno tutti indimenticabili.
McMurtry dipinge infatti un romanzo corale inarrivabile. Una serie di voci uniche e senza eguali, assolutamente peculiari per ciascuno dei protagonisti.
Mi sbilancio: non ho mai nella mia vita di lettrice letto qualcosa di così magistralmente orchestrato come Lonesome Dove. Difficile pensare che ci sia un testo altrettanto ben riuscito, anche in relazione alla sua mole.
La storia, le storie a dire il vero, di questo romanzo si srotolano davanti a noi man mano che i nostri cowboy macinano chilometri su chilometri, e sono semplicemente perfette.
A dimostrazione della sua grandezza infatti, il titolo è valso all’autore l’ambitissimo Pulitzer nel 1986, e anche se McMurtry è stato sicuramente uno scrittore molto prolifico, nessun altro testo che abbia scritto ha mai eguagliato la bellezza e il successo di Lonesome Dove. Ed è proprio sull’onda di questo successo che l’autore ha pubblicato sia un sequel nel 1993 (“Le strade di Laredo”), che un prequel (“Il cammino del morto” pubblicato postumo nel 2024), e sebbene non li abbia ancora letti, si vocifera che purtroppo nessuno dei due sia all’altezza di Lonesome Dove.
L’ho detto all’inizio e lo ripeto: sono mille pagine di magia, e non poteva essere più corto nemmeno di una riga.
Penserai quindi che già così ci sia abbastanza materia da farti rivalutare quel tomo. Ma non è finita. Il colpo da maestro di McMurtry arriva ora.
Il ‘nostos’ del poeta
Mentre leggevo di questo viaggio infinito, che sembrava dovesse durare per sempre, mi è scaturita una riflessione che mi ha fatto capire quale sia la cosa più importante del romanzo, la chiave di volta che da libro ben costruito lo fa diventare un classico senza tempo:
arrivare in Montana è solo un pretesto, in realtà quello che permea ogni centimetro del viaggio è la nostalgia, il Nostos.
Per approfondire questo concetto ho rispolverato il dizionario di Greco antico, e sono andata a scavare nel significato omerico di Nostos.
Il termine in greco significa viaggio, ma è anche all'origine del concetto di “nostalgia”. Nostos quindi non è solo il viaggio vero e proprio, ma anche il moto di ricerca, il desiderio del ritorno, il senso dell'esilio.
McMurtry dunque plasma due ranger 60enni sulle vesti degli eroi omerici e fa compiere loro un viaggio mitico, come quello di Ulisse. Li mette sulla strada ed è in quella strada che il romanzo trova la sua realizzazione.
Il punto non è il Montana, come per Odisseo non è Itaca. Il punto è il ritorno all’origine, all’essenza dei due ranger, che trovano nelle peripezie di questa avventura il rinnovato scopo della loro esistenza.
Lonesome Dove è l’Itaca che lasciano per non farci mai ritorno. Come anche Itaca è il Montana, simbolo di una nuova vita - quella di rancheros e non più di Texas Ranger. Un viaggio sia fisico che metaforico per rimanere fedeli a se stessi, cambiando ancora una volta pelle. Ed è proprio grazie al viaggio, salvifico e purgante, che i due protagonisti compiono una metamorfosi necessaria, ma non sufficiente, per andare avanti e trovare un nuovo scopo della loro esistenza.
Se questo non basta a convincerti che Lonesome Dove sia il romanzo di formazione che stai aspettando, io sinceramente non so cos’altro potrebbe.
O forse si.
Altre due parole due su McMurtry in chiusura.
Nato, vissuto e morto ad Archer City, uno sputo di cittadina popolata da neanche 2000 anime a nord ovest di Dallas (Texas, of course), lascia alla sua città natale in dono una libreria dell’usato chiamata ‘Booked up’, casa di oltre 200.000 testi rari e meta di pellegrinaggi di fan e ammiratori dello scrittore.
Non è finita.
Nel 2006 vince l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per I segreti di Brokeback Mountain, film che io non avevo MAI visto, e che ho recuperato di recente, dopo la lettura di Lonesome Dove appunto.
Com’è quel meme sulle lacrime del battesimo? Ecco, non ho ancora finito di piangerle. Che pugno in faccia.
E con questo passo e chiudo, che già siamo andati lunghi.
Ci risentiamo prossimamente con: Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa. Preparatevi, perché sarà davvero tosta. Ciao!
Wow, stupenda la tua recensione, mi hai trasmesso un sacco di entusiasmo! Ho "Lonesome Dove" nella mia libreria da diversi mesi, ma non ho ancora trovato il momento libero da "sbatti" che mi permetta di immergermi nella lettura, prima o poi arriverà! Intanto, complimenti per l'approfondimento ❤️
Che bella questa passione che trasmetti, mi è arrivata molto leggendo questo numero. Sicuramente da oggi McMurtry avrà un lettore in più. Devo solo capire quando cominciarlo!
P.S.
So che sei ironica quando dici che "Più che un libro, è un’arma, del tipo che se ti addormenti mentre lo leggi, ti fai male, sicuro al 100%", ma giuro che ho conosciuto una ragazza che si è rotta il polso perché le era caduto addosso mentre dormiva un volume enorme di diritto privato...